Intervista a Marco Zappa: i 50 anni di carriera e il CD celebrativo letto e ascoltato con il suo autore

La Rivista
01.05.17

“Ovunque appoggio il mio cappello, quella è casa mia”.
È il concetto del copricapo così come lo concepiva Marvin Gaye, cantante, da non confondersi con l’idea di cappello narrata da Bruce Chatwin, autore e viaggiatore inglese che definiva Londra una città buona soltanto per appendercelo. Il concetto del cappello sul letto applicato al ticinese Marco Zappa, invece, si trasforma in “dove c’è il mio studio di registrazione, quella è casa mia”. Ma vale anche il viceversa. A proposito di copricapo, tanto di cappello ad un artigiano della musica che ha appena dato alle stampe “PuntEBarrier” (Marco, i suoi titoli, li scrive così, maiuscole e niente spazi, ndr), cd celebrativo di cinquant’anni di onorata carriera, stampato su supporto digitale o doppio vinile, nel caso in cui preferiate i vecchi, buoni arnesi per ascoltare musica.
Quanto leggerete di seguito è il resoconto dell’incontro con l’artista bellinzonese-anche-locarnese, un racconto che faremo partire dalla fine, ovvero dal concerto tenutosi il 14 marzo scorso al Teatro Sociale di Bellinzona, occasione nella quale il Club per l’Unesco Ticino gli ha conferito il Partenariato 2017. Il corposo documento che accompagna il riconoscimento dice che il merito va al suo aver “vissuto e concepito l’arte della Musica come linguaggio di forte convivialità tra tradizioni e culture diverse” e all’aver “cercato tenacemente le proprie radici umane e artistiche all’interno di una realtà in continuo divenire, affinando e maturando il proprio messaggio di impegno civile”. Insomma, niente di meglio che sentirsi parte del patrimonio dell’umanità proprio nel giorno del compleanno (artistico e non solo).

Sguardo avanti
Espletata l’ufficialità, facciamo un passo indietro fino ad un pomeriggio dei primi di marzo, dentro una casa che trasu-
da musica senza con ni, dove appesa ai muri sta la storia personale del suo inquilino (strumenti a corda, a fiato, percussioni, c’è pure il "Bercandeon" prototipo di fisarmonica a due tastiere della quale si contano pochi
esemplari al mondo). «Qualcuno la definisce museo, qualcunaltro l’ha chiamata tempio» dice Zappa accogliendoci nei panni del perfetto cicerone, mentre con gli occhi andiamo di strumento in strumento, certi che non avremo il tempo per passarli in rassegna tutti. Ci confessa che
preferisce la seconda de definizione, perché «il tempio è un concetto più dinamico».
Seduti su di un comodo divano, ad un primo piano adibito a sala prove, cerchiamo di riassumere un’intera carriera stando attenti a non perderci nel ricordo fine a se stesso. Perché Marco, quanto a ricordi, ci tiene a specificare che non è «uno di quelli che rimpiangono i quindici anni» e sul passato si sofferma soltanto perché «c’è un disco che celebra cinquant’anni di carriera, ma non è un disco di ricordi, anzi, è un lavoro che guarda avanti, con 18 brani inediti».

Viaggio in gommone
“PuntEBarrier” lo abbiamo letto e ascoltato insieme al suo autore, sotto gli occhi profondi di Elena, sua moglie, che della stesura è stata parte attiva («è un lavoro di coppia, sono io che parlo ora, ma potrebbe parlarti lei»). Il racconto parte dal viaggio in gommone da Locarno a Venezia di un anno fa, un percorso tra laghi e fiumi, corsi d’acqua grandi e piccoli, fino al Po, autostrada fluviale per raggiungere La Serenissima. «Man mano che il fiume si allargava» racconta Zappa, «diventava anonimo, lento, e i ponti non erano più quelli dei canali, con la gente sopra ad accoglierti, ma quelli sui quali passano gli autocarri, i ponti dei treni che sfrecciano veloci, sui quali alla fine non c’è più nessuno a salutarti». In questo viaggio (e nella relativa canzone “IPontiCheSalutano”) c’è molto dell’idea complessiva di tutto il disco: «ti allontani da casa e rischi di non essere più nessuno», dice l’autore a proposito di un concetto applicabile tanto al giovane che «presto o tardi dovrà iniziare a cavarsela da solo», quanto a chi è costretto a lasciare la propria terra, posto nel quale «sei qualcuno perché hai amici che ti conoscono, ma quando ti spingi lontano lo sei sempre meno, e devi lottare per ridiventarlo».

Profughi e migranti
I riferimenti a profughi e migranti sono distribuiti un po’ ovunque in “PuntEBarrier”, con affondi nemmeno troppo velati a certe abitudini locali, come quelle cantate in “PortaAperta”, swing elegante (musicalmente quasi provocatorio) introdotto dallo scioglilingua “Porta aperta per chi porta, porta chiusa per chi non porta, parta pure poco importa”. «È una frase del mio amico padrone di casa, che ha quasi novant’anni» dice Marco, «un’immagine che dentro di sé contiene tutto il tema delle frontiere, compresa la nostra esperienza di paese tradizionalmente aperto a chi viene da fuori, ma molto più disponibile ad accoglierti se porti qualcosa». Una stilettata alle abitudini di casa che fa il pari con “SogniNelleValigie”, brano che si rifà al giovane scoperto a Chiasso all’interno di un bagaglio a mano (“Perché, con una maglietta e un paio di jeans, migrare è un delitto? Mentre con una valigia piena di soldi ti mettono anche il tappeto?”). Senza peli sulla lingua è pure “StòriDaConfin”, nella quale l’autore ricorda il nonno, guardia di confine, per cantare di ramine, dimenticate per secoli e tornate improvvisamente d’attualità.
Non meno schietto e senza fronzoli – aperto dall’incipit “Ga sarà sèmpar quaidün püssée a sud da nüm” – è il brano “FemSüMür”: «che sia un frontaliere o un profugo» dice Mar- co, «chi entra in Ticino viene sempre visto come usurpatore di ricchezza e libertà. E invece chi fugge sta lasciando un paese che, se potesse, non abbandonerebbe mai, perché è casa sua». E aggiunge: «Spesso dimentichiamo che proprio noi ticinesi, non molto tempo fa, migravamo a Milano per fare gli spazzacamini, a Parigi per fare i marronai, nelle Americhe per fare i cowboy».
A proposito di chi se ne va, in “UnPaésAlGaVö” Zappa af- fronta anche le dinamiche di chi torna: «Si può criticare il proprio paese, perché lo si conosce meglio di chiunque altro, ma alla fine il tuo paese lo ami, e ci torni sempre volentieri». E con un velo di amarezza aggiunge: «Non sono più giovane e mi accorgo che più diventi vecchio e più perdi il contatto con il tuo paese. In Italia i cantanti non più giovani riescono ancora a trovare una certa di- mensione pubblica, mentre qui in Ticino è diverso, magari torni da una serie di concerti in giro per il mondo e qualcuno, non vedendoti da tempo, chiede “Ah, ma suoni ancora?”». Con un po’ di sana autoironia, la spiegazione è in parte in una delle strofe (“Mi sóm cóme un sass da üm che fa mia sü la lita, na trütèla da riva che scapa via”) e in parte anche in quello che Marco individua come un atteggiamento tipicamente locale: «Fuori dai nostri confini c’è ancora fame di musica nuova, mentre da noi l’inter- scambio con i musicisti del posto si è ridotto, difficilmente ci si ascolta tra colleghi, difficilmente il gruppo dei musicisti si sposta in massa per andare ad ascoltare il nuovo arrivato, come succede a Tirana, o in Turchia. Questa gelosia della propria strada è una delle molte barriere che si possono trovare in musica».
Un’ultima frecciatina alla Svizzera moderna arriva con “StèllEStall”, canzone che parla di Alp Transit («la galleria avvicina, certamente, ma chi? Lugano a Zurigo!») e del rischio che questa ristrutturazione ferroviaria tagli «tutti i paesi del Ticino quello vero, che va da Bellizona alla Leventina in su, che dovranno tornare a riaprire le stalle e a guardare le stelle, a quel modo di vivere che ha preceduto l’arrivo del treno».

I muri
Oltre ai con ni tra nazioni, Zappa canta pure di muri della
comunicazione in “ParliamociDiPiù” (un invito all’ascolto reciproco) e di ostacoli autoinflitti in “FaròBene?FaròMale?” («spesso ci scordiamo che dobbiamo
decidere»). Ma c’è spazio anche per i muri generazionali, quelli per i quali «spesso ci sono più barriere tra me e un quindicenne che abita qui vicino che tra me e un mio coetaneo che sta dall’altra parte del mondo». Sono le
riflessioni di “BoccéttDaVédro”, ricordi di mani sporche di terra con le quali si giocava a biglie,contrapposti alle dita pulite che oggi digitano sugli smartphone.
Un gap, quello generazionale, sul quale Zappa ha sempre la-
vorato nell’auspicio che la sua musica, che per qualche giovane può essere barriera, possa divenire ponte («il fatto che sul palco,nei miei concerti ci siano dei musicisti in carne ed ossa, e non virtuali, già questo può essere un ostacolo»).
Già vincitore nel 2002 del premio Myrta Gabardi,giornalista italiana morta in un incidente a soli 35 anni, Zappa ha accettato l’invito dei genitori della giovane scomparsa a musicare una delle poesie della figlia, dando vita così a “ProblemaUomo” («il concetto che la più grande barriera dell’uomo sia proprio l’uomo stesso si sposava perfettamente con questo disco»).
C’è spazio anche per un Vivaldi riletto in “PontiVeneziani” e per un po’ d’Africa in “TicinoDakar”, brano nato scambiando la propria musica attraverso i rispettivi computer con il senegalese Ismaila Cisse («un altro modo, più tecnico, più musicale, di superare frontiere»).

Digitale vs vinile
Pur in assenza di rimpianti, la Sindrome dell’epoca d’oro ci assale quando Elena estrae dalla libreria i primi album pubblicati da EMI, già casa discografica dei Beatles (“Change”, 1975 e “Sweet apples”, 1977). Marco dice «...però, guarda il vinile, guarda la copertina... sembra un quadro». E in effetti, quei grossi quadrati di cartone con dentro il disco contenevano una tradizione di illustratori, grfici, tipografi , cartotecniche, un mondo dimenticato che per fortuna o per caso sta tornando in superficie (nel 2016, nel mondo, si sono stampati più vinili che cd). «Forse è più la curiosità di chi non conosceva il supporto» aggiunge Zappa, certo che «oggi, con la musica digitale, non hai fisicamente in mano più niente, mentre il disco è un oggetto reale». Il digitale, per quanto male abbia fatto, ha comunque permesso di riportare alla luce quei primi lavori controcorrente, registrati con Oliviero Giovannoni (batteria) in un’epoca nella quale il numero massimo di piste sulle quali incidere non andava oltre il quattro (e Marco, in “Change”, di strumenti ne suona una ventina). «I dischi per la EMI sono stati per me il tentativo di dimostrare a me stesso quello che avevo imparato dalla scena inglese e americana» ricorda l’artista, individuando in “Animali e altro” (1979) una delle svolte della sua carriera: «nel momento in cui regnavano i Deep Purple, io uscii volutamente con un trio violoncello, auto traverso e chitarra classica». Una scelta cosciente, la sua, presa nella consapevolezza di dover rinunciare, per esempio, al circuito delle radio, ma con la convinzione di poter mantenere una certa preziosa indipendenza artistica («ho sempre cercato di tenermi lon- tano dal circolo di chi vuole fare effetto, e se anche ho suonato in grandissimi festival, ho sempre amato piazze più ristrette come il teatro, dove il pubblico ascolta, ti vede e tu vedi lui»).

Nel bilancio di una vita da musicista di successo, non manca mai la consapevolezza cantata in “PuntEBarrier”: «Una cosa è farsi accettare in un paese straniero come musicista, un’altra è se in quel posto ci arrivi come operaio e hai appena lasciato la terra che ami non per scelta, ma per sopravvivenza». E ancora «quando andiamo all’estero, non si può non raccogliere le problematiche del posto, ridimensionando le nostre.
Spesso ci sentiamo il centro del mondo, pensiamo che i problemi ce li abbiamo soltanto noi e invece ti sposti di continente e scopri che i problemi originali sono altrove e qui arrivano soltanto di riflesso». E dal mondo, Marco, è tornato spesso con gli strumenti locali, perché «lo strumento è l’ambasciatore di un popolo e di una cultura, così come la lingua, che è una sonorità specifica,
esattamente come quella degli strumenti». Così, nel lasciare casa sua, guardiamo il tempio in direzione opposta, scoprendo altre fonti sonore. «Ogni strumento ha la sua storia, il suo suono» dice il musicista con la voce del viaggiatore (o viceversa).

Un sacco di divertimento
Oggi, dopo 50 anni di musica, Zappa sente di avere «più in chiaro cosa è il caso di fare e cosa no», un nuovo equilibrio grazie al quale ammette di divertirsi un sacco. Confessa che «questo è un periodo felicissimo, un momento di sintesi di quanto ho sperimentato nel tempo, merito dell’esperienza e di una capacità di autocritica che in giovane età non si può avere». Prima di andare gli chiediamo se esiste un momento indimenticabile in questi cinquant’anni. «In ogni concerto ci sarebbe qualcosa di unico da raccontare», ci risponde. «Potrei citare grandi festival come Montreux, Nyon, il Gurten, l’Open Air di San Gallo, ma ci metto anche i viaggi, una parte importante dei concerti. In generale, ogni volta che ho avuto un pubblico vicino, con il quale dialogare, quelli sono stati momenti indimenticabili».

È probabile, quindi, che tra i momenti d’oro ci sia pure la notte del Sociale, quella di “PuntEBarrier”, opera libera e coraggiosa nella quale suonano in armonia musicisti serbi e albanesi (i bravi Goran Stojadinovic e Ilir Kryekurti), italiani, senegalesi e svizzeri.
L’opera di un libero cittadino del mondo, uno che ancora guarda oltre con ne, qualsiasi esso sia.

< Torna indietro
Indirizzo

 

MZ Sound Studio
Via Locarno 62
CH-6514 Sementina, Switzerland

Socials

 

marcozappa

marcozappamusic

Canale Youtube

mx3