MARCO ZAPPA: CON “ANELE” FESTEGGIA UNA GRANDE CARRIERA |

INTERVISTA DI SILVIO TERENZI IN COLLABORAZIONE CON IL MEIWEB
10.04.24

Marco Zappa <marco@marcozappa.ch>

20:09 (1 ora fa)
 
 
 
 
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MARCO ZAPPA: CON “ANELE” FESTEGGIA UNA GRANDE CARRIERA | INTERVISTA DI SILVIO TERENZI IN COLLABORAZIONE CON IL MEIWEB
10 aprile 2024

Uscito il giorno del suo 75_esimo compleanno: ecco “Anele”, un vero best fo di canzoni che cercano di sbandierare la gloriosa carriera di Marco Zappa, cantautore che arriva dal Ticino, Premio UNESCO nel 2017, Premio Svizzero della Musica nel 2019… oltre 40 le pubblicazioni a nome suo e dei vari collettivi che gli fanno da corone. Ed eccolo questo doppio CD uscito per la RadiciMusic Records: il disco 1 tutto in italiano, il disco 2 tutto nel dialetto suo di origine. E tanto il tutto rimanda alle belle storie di contrade, di periferia, di vita… il tempo e l’amore, la vita e le sue tante allegorie. Marco Zappa sera provando finalmente a metter piede anche qui in Italie e quella che seguirà è davvero una bellissima chiacchierata. Tutti connessi e perché no, cerchiamo di portarlo anche qui in Italia!!!
Svizzera o Italia? Tu che hai 60 anni di carriera alle spalle, fare questo mestiere in Svizzera è più facile o difficile come da noi?
Molti dicono di me che se fossi nato in Italia, sarei sicuramente molto più conosciuto.
È certamente vero. Ma in questi 60 anni di carriera ho creato la mia musica e scritto i miei testi, sempre pensando a dove li avrei suonati e proposti. Ho suonato anche in quasi tutti grossi ed importanti Festival svizzeri, da Montreux a Nyon, da SanGallo a Basilea ed alle grandi manifestazioni culturali svizzere ed all’estero, in grandi ed importanti location, ma la mia vita, la vera vita artistica è stata ed è nei piccoli teatri. Dove crei il contatto diretto con i visi e gli sguardi della gente che prende e ti ridà le sensazioni che prova.
Pensandoci bene per rispondere alla tua domanda, mi rendo ora conto che sono passato attraverso generazioni di organizzatori, di pubblico, di generi musicali, di mode che hanno continuato per la loro strada, mentre io cercavo la mia. Se pensi che, dopo due LP in inglese, con brani di rock alternativo ed elettrico, prodotti dalla EMI, negli anni ‘70, ho sentito il bisogno di farmi capire di più, tornando a testi in italiano o nei vari dialetti, cercando in ogni canzone di parlare della vita, delle nostre esperienze, dei nostri incontri, del mio paese, dei paesi che visitavamo durante le tournée. Gli altri musicisti continuavano a suonare rock elettrico, mentre io facevo la stessa cosa, ma con una chitarra acustica, un violoncello ed un flauto traverso. Lo spirito era sempre molto rock, ma con un vestito diverso. Oggi è diventato ovunque molto più difficile. La gente non sa più meravigliarsi davanti a nulla, tantomeno davanti ad un musicista. Io, da ragazzo, mi fermavo per ore, dopo scuola, ad osservare i musicisti delle orchestre che suonavano nei locali anche il pomeriggio. Mi fermavo con la bicicletta e cercavo di carpire ogni piccolo trucco o accordo che ancora non conoscevo.
Nel 2000 sul CD “Gente” in parecchie canzoni parlavo già di questa situazione.
Questo è il tuo primo disco che in qualche modo cerchi di portare in Italia? Oppure ci hai provato altre volte?
Mi ricordo che negli anni ‘70, nel mio periodo di rock sperimentale, avevo fatto invano il giro di tutte le grandi case discografiche di Milano (…lasci pure qui, le faremo sapere!…), prima di firmare l’importante contratto con la EMI di Zurigo. Poi, ho cominciato ad autoprodurmi, dando alle varie case discografiche solo il compito della distribuzione.
In effetti mi sto meravigliando ora di quanto interesse positivo ci sia in Italia, per questo nuovo album. Tutte le recensioni e le interviste dimostrano un grande apprezzamento ed una grande meraviglia per questa musica che, purtroppo, in Italia pochi conoscono.
Sto lavorando con la RadiciRecords di Arezzo, che sta facendo un lavoro egregio. Anche la collaborazione con il giornalista musicale Paolo Tocco, ci sta dando un importante aiuto a fare conoscere e a promuovere questo disco in Italia.
Che pensi della nostra scena musicale e della nostra società musicale anche…?
Eh! L’Italia ha da sempre avuto una scena musicale importantissima per me è per il resto del mondo. Ogni paese ha l’arte che si merita e l’Italia è un concentrato di opere d’arte e di vitalità incredibili. Già da ragazzo, quando cantavo e seguivo le canzoni di Celentano, mi ero innamorato di questa musicalità, grezza, diretta, piena di humor e di autocritica, ma bella da cantare con la chitarra. Ho ancora oggi un programma da concerto in cui eseguo e canto, con nuovi arrangiamenti le musiche che cantavo in quegli anni. Sono ormai dei classici.
Quando, però, negli anni ‘60 ho scoperto i Beatles, le mie attenzioni musicali e culturali si sono concentrate sull’Inghilterra, dove sono stato spessissimo, sia per lavoro, sia per piacere. Mi ricordo che da ragazzo, durante le vacanze estive al mare, la sera mi appostavo fuori dai locali a sentire l’Equipe84, i Rokes, ma anche tante band che suonavano ovunque dal vivo.
Purtroppo oggi è cambiato tutto. Molti ragazzi, sulla scia dei concorsi televisivi, vogliono essere subito delle Star, non pensano più a quanto sia necessario farsi le ossa per ore, imparare, studiare faticosamente…
Mentre fino a un qualche tempo fa, pensavo che ci fosse musica buona e musica non buona, musica vera e musica non vera, ora penso che tutta la musica trova il pubblico che si merita, da quella più semplice, magari ancora suonata male, ma con passione, a quella più elaborata è difficile. Se una musica riesce a trasmettere emozioni a chi la ascolta, ha ottenuto il suo scopo. Ognuno ha gusti e preferenze diverse. Quello che ogni musicista deve riuscire ad ottenere è il trovare il giusto pubblico che riesca a vibrare in sintonia con la sua musica.
Dentro questo disco c’è anche il suono di alcune formazioni che ti porti dietro.
Certo, questo doppio album racchiude una piccola sintesi della mia musica.
Mia mamma avrebbe voluto fare di me un pianista classico, in effetti per alcuni anni, ho studiato pianoforte. Poi, con Celentano, gli Shadows, i Beatles… ho capito che la mia strada sarebbe stata un’altra. Comunque, la scelta di prediligere spesso gli strumenti acustici quali il violoncello, il violino, il flauto traverso ed in seguito tutti i nuovi strumenti che ho incontrato nel mondo, il fatto che i miei due figli siano diventati dei prestigiosi musicisti classici (Daria, grande violinista e Mattia, grande violoncellista) sono sicuramente dovuti all’influsso di mia mamma.
Questo è uno degli aspetti della mia musica. Un altro ingrediente importante è il blues. Pur non essendo io un tipico musica blues, tutta la mia musica è intrisa di questo feeling, sia in ritmi che nel modo di cantare. Un altro aspetto è quello etnico, che ho assimilato nelle mie tournée in India, in Albania, in Perù, in Grecia, nelle Filippine, in Inghilterra, negli USA… e studiando man mano vari strumenti di questi paesi e collaborando con molti musicisti che ho incontrato.
Non da ultimo, l’aspetto popolare e folk di molti miei brani porta un ulteriore ingrediente stilistico nelle mie canzoni. Non ho alcun preconcetto nei confronti di qualsiasi genere musicale: se quelle colorazioni servono per vestire un mio testo nel migliore dei modi, cerco di assimilarlo.
Per te la musica dunque è un concetto collettivo?
Negli anni ‘70, quando avevo lavorato in studio, suonando una ventina di strumenti (Hammond, chitarre, flauto, basso, voci, armoniche, pianoforte…) per la realizzazione assieme al mio batterista Oliviero Giovannoni del primo LP “Change”, mi sono trovato nell’imbarazzante situazione poi di non riuscire a risuonare tutti gli strumenti contemporaneamente dal vivo. Mi ricordo che ero stato aspramente criticato da chi sosteneva giustamente che la musica è un fatto collettivo è un’arte che si arricchisce con ogni musicista che ti suona assieme. Giustissimo, ma è molto bello ed affascinante anche suonare da solo o sperimentare nuove sonorità e creazioni in un lavoro in studio. È quello che ho fatto è che faccio sempre ancora quando creo nuove canzoni o nuove composizioni.
È indubbio che appena suoni con altri musicisti dal vivo, la musica esplode, si modifica, si arricchisce di novità impreviste ed incredibili.
Hai mai pensato di tornare a suonare da solo come un cantautore alle origini?
È proprio quello che continuo anche a fare in parecchi concerti. Siccome mi piace, come polistrumentista , portare in concerto molti dei miei strumenti (organetti, flauti, clarinetto, armoniche, Bouzouki, cifteli…) capita abbastanza spesso che mi esibisco anche da solo, utilizzando dei looper e parecchi effetti interessanti che rendono possibile questo tipo di concerto.
Comunque, a seconda delle occasioni, delle varie location e delle possibilità degli organizzatori, ho molteplici formazioni con i musicisti della mia grande orchestra con cui teniamo i vari concerti.
https://www.youtube.com/watch?v=REDY7GX4njU
Nelle tue composizioni ci sono tantissime variazioni sul tema. La tua scrittura è libera di vestirsi di colori diversi anche dentro lo stesso brano. Sei d’accordo?
Certo! Questo è un tema molto interessante. La mia musica è difficile da definire proprio perché non mi piace assolutamente essere etichettato. Cosa questa che tutti, invece, vorrebbero. È più facile poter inserire qualcosa in una forma precisa, proprio come nel gioco per i bambini delle forme da inserire nei giusti spazi. La musica, le armonie, i ritmi, gli strumenti, la lingua, l’arrangiamento che scelgo per un brano, dipendono completamente da quello che voglio esprimere con il testo. Ed anche all’interno del brano, a seconda dei vari momenti narrativi, la musica deve adattarsi. Questo anche e specialmente pensando all’esecuzione dal vivo, dove il pubblico segue le vicende narrate e vuole poter seguire la narrazione lasciandosi completamente coinvolgere. Ecco perché non vorrei mai dover suonare i miei brani in ambienti che non permettono questo approccio narrativo completo.
Altra cosa è cantare musiche di Celentano o dei Beatles che tutti conoscono. Questo mi piace farlo nei locali o nei club!
E posso chiederti da dove arriva questo?
Ho studiato Pedagogia all’Università Cattolica di Milano, con una tesi sui rapporti psicanalitici tra Freud e Jung. Mi sono sempre interessato alla psicologia umana, per capire un po’ meglio il mio ed il nostro agire. Nei miei testi, anche in quelli apparentemente più semplici, cerco sempre di alludere a situazioni esistenziali più profonde. Tutto questo mi ha portato forse ad essere molto esigente e a non lavorare pensando al facile successo o ai passaggi radiofonici che sono quasi sempre pensati per un pubblico indaffarato, veloce e con pochissimo tempo da dedicare ad un ascolto vero e completo. Ed un doppio album come “Anele”, con 32 brani è chiaramente molto impegnativo e richiede parecchio tempo ed il piacere di mettersi lì con tranquillità a viaggiare da sognare con tutti i temi proposti. Buon ascolto!
Sarai in tour? Anche in Italia?
Sì, saremo in tour tutto l’anno in Svizzera, con diverse formazioni e diversi programmi.
Per ora in Italia, non abbiamo ancora nulla di concreto, stiamo in attesa di parecchie conferme.
Noi siamo pronti per tutte le occasioni e amiamo viaggiare anche lontano.
 


 
 
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